In questo articolo spiegheremo un processo di selezione e ponderazione per la realizzazione di un portafoglio di ETF obbligazionari.
Verrà illustrato un metodo quantitativo che parte dalla clusterizzazione dell’universo investibile alla selezione dei titoli, per finire con la definizione dei pesi da attribuire ad ogni strumento.
UNIVERSO INVESTIBILE
Il vincolo autoimposto di questa valutazione è l’utilizzo di soli ETF obbligazionari; questo implica un problema di base, cioè la mancanza di diversificazione tra asset class, ma sarà necessario per ottenere un prodotto idoneo a quella parte di investitori propensi ad investire in soli titoli di questo tipo.
L’analisi non approfondirà il tema dei costi di gestione e delle tasse.
Esistono decine di ETF di natura obbligazionaria. La domanda che ci porremo all’inizio di questa analisi sarà come fare a selezionarli.
Per ottenere un risultato efficiente e quindi il minimo drawdown al massimo rendimento possibile, dobbiamo capire innanzitutto quanti e quali strumenti vogliamo inserire nel portafoglio, partendo da un universo investibile che in questa sede sarà costituito da 26 elementi pre-selezionati (Tabella 01).
Ovviamente questi strumenti sono correlati tra loro, ma ce ne saranno alcuni che lo saranno meno degli altri e che potranno servirci ad apportare miglioramenti al nostro portafoglio (Tabella 02).
Le correlazioni mostrate in tabella sono state calcolate su rendimenti settimanali, dal 2020 ad oggi, così da considerare valori più attuali possibili, ma evitando di incappare in problemi di “rumore” (come potremmo avere con l’utilizzo di dati giornalieri).
Come si può notare non ci sono strumenti correlati negativamente, ed il minimo è 0.22, un valore basso ma positivo.
Per ogni strumento calcoleremo la media e la deviazione standard delle proprie correlazioni rispetto agli altri elementi e li disporremo su un quadrante (Grafico 01).
L’asse delle ascisse mostra la media di correlazione e quello delle ordinate la rispettiva volatilità.
Se pur molto concentrati, gli strumenti si dispongono a gruppi sul quadrante e questo ci fornisce una prima indicazione su quali ETF non dovranno essere per certo nel portafoglio, cioè quelli troppo vicini tra loro.
CLUSTER ANALYSIS
Per definire matematicamente i vari gruppi (“cluster”) utilizzeremo un metodo chiamato K-means che semplicemente cercherà di inserire gli ETF in gruppi diversi seguendo una logica di definizioni di punti centrali (“centroid”) capaci di minimizzare le distanze tra gli elementi.
Il numero di centroidi sarà definito in base a quanti strumenti vogliamo nel portafoglio; nel nostro caso abbiamo optato per 5 strumenti, un compromesso tra diversificazione e costi di ribilanciamento (più strumenti abbiamo e più commissioni dovremo pagare ad ogni ribilanciamento, ma meno ne abbiamo e più saremo soggetti alla volatilità di un singolo componente).
Aiutandoci con Python, abbiamo creato uno script che definisce un punto iniziale dei centroidi (Grafico 02), per poi arrivare alla ottimizzazione con il metodo K-means (Grafico 03).
Nel Grafico 04 possiamo vedere in chiaro i gruppi costruiti dal processo.
Possiamo notare che i Treasury statunitensi vengono isolati all’interno di un gruppo ben definito in alto a sinistra; al centro, invece, troviamo un piccolo gruppo che comprende gli Emergenti corporate.
In basso al centro, in giallo, abbiamo un gruppo caratteristico più che altro da titoli di paesi sviluppati che, in generale, escludono titoli USA; a destra (in bianco), l’offerta più ampia è costituita dai titoli statunitensi corporate. Infine abbiamo un gruppo centrale, in rosso, che comprende sia emergenti long term che titoli alternativi High Yield, come ad esempio i “Fallen Angel”, cioè quei titoli declassati da Investment grade, ma ad alta potenzialità.
A questo punto dobbiamo selezionare un singolo strumento per ogni cluster: utilizzeremo un metodo che valuterà un compromesso tra bassa volatilità (data la natura del portafoglio supponiamo investitori tendenzialmente avversi al rischio) e meno correlato possibile dagli altri elementi del gruppo.
Con questo tipo di vincoli possiamo selezionare i 5 ETF mostrati nel Grafico 05.
La correlazione tra strumenti è mostrata nella Tabella 03.
Se pur ancora molto correlati possiamo notare che comunque abbiamo ottenuto un portafoglio composto da strumenti di diversa natura, dove trovano spazio Treasury di breve termine, Bonds corporate statunitensi, titoli di stato dei paesi emergenti, All World mid term e Bonds di paesi occidentali.
RISK PARITY
Ora che abbiamo definito gli strumenti che vorremmo inserire all’interno del portafoglio, dobbiamo capire “in che quantità” e per farlo utilizzeremo un semplice metodo di ponderazione chiamato Risk Parity (di tipo “Vanilla”, cioè nella sua versione più semplice).
La Risk Parity ha l’obbiettivo di equiponderare il contributo al rischio di ciascun titolo all’interno del portafoglio: strumenti meno rischiosi otterranno più spazio e viceversa.
Il problema quindi è definire cosa intendiamo per “rischio”: esistono diverse metriche di rischio che vanno dalla semplice deviazione standard a misure più sofisticate come l’ “Ulcer Index of uncopounded cumulative returns”.
In questa occasione non ci soffermeremo nella spiegazione di ogni metrica, facilmente recuperabile in rete.
Per capire le differenze pratiche nell’utilizzo di una o l’altra metrica, abbiamo calcolato la ponderazione utilizzando 10 diversi metodi e con l’aiuto di uno script in Python abbiamo ottenuto l’output di Tabella 04.
La tabella mostra a sinistra i ticker degli strumenti selezionati, e in alto (per colonna) le varie metriche di rischio che elenchiamo qui di seguito:
- MV: Standard Deviation.
- MAD: Mean Absolute Deviation.
- MSV: Semi Standard Deviation.
- FLPM: First Lower Partial Moment (Omega Ratio).
- SLPM: Second Lower Partial Moment (Sortino Ratio).
- CVaR: Conditional Value at Risk.
- EVaR: Entropic Value at Risk.
- CDaR: Conditional Drawdown at Risk of uncompounded cumulative returns.
- EDaR: Entropic Drawdown at Risk of uncompounded cumulative returns.
- UCI: Ulcer Index of uncompounded cumulative returns.
La libreria utilizzata (in parte) per ottenere questi risultati è “Riskfolio-Lib”.
Prendendo di riferimento ad esempio al prima versione, realizzata con un processo di ottimizzazione orientato sulla deviazione standard, otterremo la configurazione rappresentata nel Grafico 06.
Il risultato è una forte concentrazione (quasi il 60%) in titoli del tesoro statunitense a breve termine, ed una ripartizione del restante 40% che oscilla tra il 6% e il 14% su ogni altro strumento.
SCELTA DEL PORTAFOGLIO DEFINITIVO
Per capire quale potrebbe essere la configurazione migliore possiamo backtestare le performance passate ed osservarne le principali caratteristiche, come drawdown massimo e rendimento.
Il Grafico 07 mostra le curve dei rendimenti composti cumulati.
Nell’intervallo di tempo considerato, la ponderazione ottimizzata sul Entropic Value at Risk (EVaR) ottiene il drawdown minore. In termini di Sharpe Ratio, però, abbiamo qualche punto in più per la ponderazione realizzata sul Conditional Drawdown At Risk (CdaR), 0.69 contro 0.66 del EVaR.
Il Grafico 08 mostra a confronto l’ETF dei Treasury statunitensi short term (SHY) con il portafoglio appena definito, in modo da verificare gli eventuali miglioramenti in termini di performance rispetto allo strumento maggiormente presente all’interno del portafoglio.
Nonostante sia presente un miglioramento in termini di Sharpe Ratio (e quindi di rendimento per unità di rischio), abbiamo però un peggioramento nel drawdown massimo che forse non vale lo sforzo, soprattutto se pensiamo al fatto che l’ETF è composto da un solo strumento mentre il portafoglio ne contine 5.
Mettiamo quindi a confronto il portafoglio composto per CDaR con i Treasury statunitensi (Grafico 06).
In questo caso la costruzione di portafoglio viene ricompensata con un rendimento annualizzato superiore al triplo rispetto a quello dei titoli del tesoro americano, uno Sharpe Ratio di 0.69 contro 0.58 e un drawdown quasi doppio, ma localizzato nella fase di “V” recovery della pandemia del 2020, risultato diverso dal precedente in cui il drawdown era concentrato nell’attuale bear market.
CONCLUSIONI
In questo articolo abbiamo mostrato un processo di selezione che può aiutarci nella costruzione di un portafoglio di Bonds: la clusterizzazione ci permette di scegliere strumenti meno correlati possibile e la Risk Parity di ponderarli adeguatamente.
I risultati ottenuti con un’analisi statica, senza ribilanciamento e al lordo delle commissioni, andrebbero approfonditi e il backtest andrebbe reso robusto, ma ci forniscono una prima intuizione su quello che potremmo ottenere da un approccio quantitativo di costruzione di portafoglio.
Ovviamente esiste un trade-off tra rischio e rendimento, ma definiti gli obiettivi ed il rischio massimo sopportabile, possiamo utilizzare metodi statistici per definire gli strumenti più adatti ai nostri scopi.
In questo caso particolare, abbiamo determinato 5 strumenti diversi per costituire un portafoglio obbligazionario con un metodo preciso e replicabile.