Disney – Analisi Finanziaria 2022

Quasi un -60% da marzo 2021; è finita la discesa di Disney?

Indice

La Pandemia ha costretto Disney a chiudere temporaneamente i parchi tematici azzerandone le entrate per un lungo periodo. Inoltre, in seguito alla guerra in Ucraina, la compagnia americana ha dovuto abbandonare il mercato russo, perdendo una fetta del proprio business.

Questi due eventi hanno innescato un deterioramento del fatturato che ha fatto perdere a Disney il 57% della propria capitalizzazione.

Il 22 Novembre abbiamo inviato un report agli iscritti della nostra newsletter in cui veniva riportata un’approfondita analisi del titolo; in questo articolo spieghiamo come siamo arrivati a definire il Fair Value indicato.

THE WALT DISNEY COMPANY

Nel 1923 i Fratelli Disney fondarono Disney Brothers Cartoon Studio, diventata in seguito “The Walt Disney Studio”, poi “Walt Disney Production” fino ad arrivare all’attuale nome: The Walt Disney Company.

Come la maggior parte dei colossi americani, anche Disney ha sede in California.

Nata come studio di animazione, la società americana è autrice di cartoni animati di fama mondiale, come Mickey Mouse; all’inizio, i cortometraggi sono quindi il suo core business, che viene diversificato in seguito attraverso attività di merchandising e l’apertura di parchi tematici: nel ’55 viene inaugurato Disneyland e nel ’71 Walt Disney World resort.

Negl’anni, il core business viene potenziato attraverso una serie di acquisizioni tra cui troviamo Pixar nel 2006, Marvel nel 2009, Lucasfilm nel 2012 e la gigante dell’industria cinematografica 21st Century Fox nel 2019 per una spesa di 66 miliardi di dollari.

Per stare al passo con i tempi, nel 2019 Disney acquisisce Hulu, una piattaforma streaming e video on demand entrando in diretta competizione con Netflix , Appletv e Prime Video.

Dopo un breve passaggio in esclusiva americana, nel 2020 Disney+ diventa operativa in tutto il mondo.


Il Covid-19 ha avuto un forte impatto anche per la compagnia di Mickey Mouse che nel 2020 fa segnare un -35% sul segmento di mercato che la società chiama “Disney Parks, Experiences and Products” a causa della chiusura dei parchi a tema. Un vero disastro per la società che per fortuna è compensato in parte dagli introiti del segmento di mercato appena aggredito, quello del “video on demand” (raggruppato dalla società alla voce “Disney Media and Entertaiment Distribution”) che nello stesso periodo è cresciuto di un 11%.

In termini assoluti sono stati persi 9 miliardi di dollari da una parte, ma ne sono stati recuperati 5 dall’altra, rendendo la pandemia meno drammatica di quello che si sarebbe potuto pensare.

Il Grafico 01 mostra come sono cambiate le quote dei due segmenti di mercato di Disney prima e dopo la pandemia.

Grafico 01: vendite di Disney (DIS) per tipologia di business; 2019 Vs 2021.

Nel 2019 (a sinistra nel grafico) gli introiti dei parchi a tema uniti a quelli dei prodotti da merchandising rappresentavano il 37%; nel 2021 la quota si è ridotta ad un 25%.

Il crollo si può scorgere bene nel Grafico 02, che mostra l’esploso delle tipologie di vendite nella sua dinamica temporale.

Grafico 02: vendite di Disney (DIS) per segmento di mercato.

ANALISI FINANZIARIA DI DISNEY

Il Bear market di Disney è iniziato molto prima del crollo dei tecnologici, infatti l’ultimo massimo registrato si trova a Marzo 2021; l’ultimo minimo risale al 9 Novembre, dopo aver perso il 57% della propria capitalizzazione (Grafico 03).

Grafico 03: Disney (DIS) prezzo azionario; scala logaritmica.

Come già detto, la pandemia ha giocato un ruolo chiave costringendo Disney a chiudere temporaneamente i parchi a tema; come se non bastasse, nel 2022, la guerra in Ucraina ha costretto la società a seguire i passi di tante altre multinazionali americane che si sono viste costrette ad abbandonare il mercato russo.

In questo caso i danni non sono stati incisivi come per altre compagnie tuttavia nel 2022 Disney ha dichiarato una perdita relativa di 42 milioni a cui si sono aggiunti 195 nel Q3. 

Più incisivo è il persistere della pandemia che con le politiche zero-covid cinesi complicano la vita ai parchi della compagnia californiana.

Come abbiamo accennato nel paragrafo precedente, tra le tante notizie brutte ce n’è anche una positiva: l’acquisizione di Hulu del 2019 è arrivata con un timing perfetto, infatti la pandemia ha fatto esplodere il settore dell’intrattenimento ed il business dello streaming ha compensato in parte le perdite dei parchi tematici.

Il problema è molto più visibile nel Grafico 04 che mostra i due segmenti del business di Disney in termini di vendite trimestrali.

Grafico 04: scomposizione delle vendite per segmento di mercato di Disney (DIS); trimestrali.

Il Q3 2020 evidenzia introiti quasi azzerati nel comparto dei parchi e del merchandising; ad oggi, però, questa parte del business di Disney ha raggiunto nuovi massimi, superando anche i livelli pre-pandemia: il Q4 2022 ha raggiunto un fatturato di 7.42 miliardi di dollari contro il precedente record di 7.39 realizzato nel Q1 2020.

Anche sull’altro ramo, quello dell’entertaiment, i livelli di fatturato sono a nuovi massimi superando i livelli del 2019/2020.

Un fatturato in crescita in un momento come questo è sicuramente un segnale positivo; ma il prezzo azionario si basa sullo sconto dei flussi futuri quindi dobbiamo cercare di capire quale sia il driver principale che guiderà gli introiti di Disney.

Concentrandoci sul ramo dell’intrattenimento (che è quello che produce il fatturato maggiore) possiamo dire che si compone di una prima parte data dalla produzione di serie e lungometraggi, quella più consolidata; la seconda parte, invece, è quella più “disruptive”, quella dell’ “on demand”, di un mercato in piena espansione e che, al fine di una opportuna previsione, necessita di un driver adeguato.

Questo tipo di business si basa unicamente su due elementi:

  • numero abbonati;
  • prezzo del singolo abbonamento;

Il Grafico 05 mostra la crescita del numero di abbonati paganti.

Grafico 05: numero di abbonati paganti ai servizi di intrattenimento di Disney (DIS); trimestrali.

Come si può vedere chiaramente, Disney+ è un prodotto che ha trovato pieno appoggio sul lato domanda, con una crescita a dir poco eccezionale arrivando a 160 milioni di iscritti in 3 anni.

Il Grafico 05, invece, mostra lo sviluppo trimestrale della media mensile di fatturato per abbonato rispetto alle tre diverse linee di prodotto.

Grafico 06: valore di fatturato medio mensile per abbonato di Disney (DIS); trimestrali.

In questo caso possiamo scorgere una certa costanza nel fatturato mensile per iscritto.

Questi elementi possono aiutarci a fare alcune ipotesi sullo sviluppo futuro della società: per determinare il Fair Value di Disney possiamo proiettare la crescita media attuale degli abbonati dei vari segmenti di mercato, applicando un fattore di convergenza, legittimato dal fatto che il numero di abbonati non può crescere in modo infinito e più cresce più diventa difficile mantenere lo stesso ritmo; ha senso quindi, nel migliore dei casi, immaginare una curva concava di lungo periodo.


Considerando uno scenario in cui Disney+ riesca a raggiungere la metà della popolazione degli Usa + metà di quella Europea (tralasciando tutti gli altri stati per semplicità), potremmo immaginare lo scenario raffigurato nel Grafico 07.

Grafico 07: numero di abbonati paganti ai servizi di intrattenimento di Disney (DIS) con possibile evoluzione; trimestrali.

Occorre inoltre ponderare l’effetto del ramo streaming/on demand con quello dovuto ai classici e consolidati lungometraggi, che potremmo assumere come base fissa.

Il tutto compresso per un fattore “recessione” per il 2023 e il 2024 ipotizzato al 2% annuo.

Per l’altro ramo, quello dei parchi e merchanding, assumeremo una crescita fissa del 3% anno da oggi al 2032.

L’evoluzione del fatturato appena descritta è rappresentata nel Grafico 08.

Grafico 08: Fatturato annuale Disney (DIS) con possibile scenario di evoluzione futura.

Non riteniamo questo scenario particolarmente ottimista, piuttosto potremmo considerare il suo sviluppo in condizioni “normali”.

Potremmo metterlo a confronto con uno scenario in cui tutto venisse congelato alla situazione attuale, applicando un fattore di crescita naturale del 1.5%, in modo da capire quale sarebbe il valore della società senza previsioni di crescita.

I due scenari a confronto li possiamo vedere nel Grafico 09.

Grafico 09: Fatturato annuale Disney (DIS) con possibili scenari di sviluppo futuro a confronto.

A questo punto aggiungiamo alcune ipotesi per arrivare al Fair Value tra cui:

  • la percentuale di EBIDTA sul fatturato è costante per i successivi 10 anni;
  • un costo del capitale “WACC” di 8.0%;
  • un modello a due stadi per rappresentare lo sviluppo di crescita futura;
  • la proiezione infinita delle vendite dopo i 10 anni rappresentata da un moltiplicatore di settore pari a 4.0x;

Il modello matematico sarà un DCF “Discounted cash flow”  rappresentato dalla seguente formula matematica:

\textnormal{EV} = \sum_{t=1}^{n}\frac{UFCF_t}{(1 + WACC)^t}+{\frac{\textnormal{REVENUE}_n \times \textnormal{REVENUE MULTIPLE}}{(1+WACC)^n}}

Risolvendo il problema con alcuni passaggi possiamo ottenere un FAIR VALUE, cioè un valore equo rappresentativo della società, per ciascun scenario ipotizzato (Tabella 01).

Tabella 01: Fair Value di Disney (DIS) per diversi scenari.

Quello che possiamo notare è che nel caso in cui Disney non avesse crescita nei prossimi 10 anni, quindi uno scenario decisamente negativo, allora il suo valore di oggi sarebbe in equilibrio. In altre parole, ammesso che il modello utilizzato sia sufficientemente rappresentativo su questa società, per qualsiasi livello di crescita che potremmo ipotizzare, Disney risulterebbe in ogni caso sottovalutata. 

Per un sanity check possiamo utilizzare i multipli di mercato di Tabella 02 (estratti dal report linkato in fondo all’articolo). 

Tabella 02: Multipli di mercato di Disney (DIS) a confronto con un campione di società comparabili.

I multipli di mercato non offrono un quadro chiaro, anzi alcuni indicherebbero uno stato di sopravvalutazione.

C’è da dire che, essendo una compagnia multibusiness, la valutazione andrebbe scomposta per gruppi di competitor affini, quindi una parte che analizza solo i parchi tematici ed una solo il business della tv on demand in modo da trovare valori più coerenti.

C’è un altro problema, riscontrabile sempre nel report in fondo all’articolo, ed è quello della carenza di liquidità che l’azienda sta soffrendo. Infine, anche la redditività non è delle migliori e queste caratteristiche rendono Disney non del tutto appetibile nonostante la sua attuale sottovalutazione.

CONCLUSIONI

Attraverso un modello Discount Cash Flow ibrido (cioè che unisce elementi anti-ciclici, quindi capace di calcolare un valore societario in termini assoluti, ad elementi ciclici, in grado di contestualizzare in parte il valore riscontrato alle condizioni attuali di mercato) abbiamo calcolato il possibile Fair Value di Disney (DIS) ipotizzando uno scenario di crescita in termini di numero di abbonamenti.

Il valore ottenuto metterebbe in evidenza una sottovalutazione di quasi il 20% con un Fair Value che si attesterebbe intorno a quota 113 dollari per azione.

Nonostante siano presenti tutte le condizioni di crescita, la società californiana presenta squilibri a livello di liquidità e di redditività che la rendono non immediatamente appetibile e che rendeno necessario un intervento; in caso contrario potrebbero portare problemi nel lungo termine.

Tutti i dettagli sono stati inviati in anteprima agli iscritti alla nostra newsletter il 18 di ottobre; lo stesso report lo rendiamo oggi pubblico al seguente link.
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POST SCRIPTUM

Speriamo che le argomentazioni trattate possano coinvolgere i lettori al fine di sviluppare approfondimenti interessanti. Eventuali idee saranno prese in considerazione ed eventualmente sviluppate. Il team di The Sigma Squared fa ricerca e pubblica i risultati in modo gratuito. Approfittatene.
NOTA: Ricordiamo che il presente articolo non è un consiglio di investimento. L’autore NON è un consulente finanziario. Il vostro capitale è a rischio.

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Kris Vandelli

Laureato in Economia e Finanza, investo da oltre 10 anni; la mia passione per la statistica mi ha portato ad approcciare i mercati in termini prevalentemente matematici.

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