“La finanza non è una scienza esatta”.
Questa è una delle affermazioni più in voga attualmente nel mondo della finanza. Sentiamo spesso discorsi del tipo: “Bisogna investire in questo modo ma attenzione perché la finanza non è una scienza esatta”. Ma invece di una verità non pare piuttosto un modo per giustificarsi in caso di errore?
HARD SCIENCES E SOFT SCIENCES
Per convenzione, gli studiosi hanno voluto separare le varie scienze in due macro gruppi chiamati “hard sciences” e “soft sciences” per cercare di differenziare l’approccio usato. Nonostante il termine “soft sciences” (in Italiano tradotto anche come “scienze molli”) per definire le scienze sociali suoni come un qualcosa di “meno virtuoso” rispetto al termine “hard Sciences”, in realtà, il suo significato deriva dalla mancanza dell’estrema precisione nei risultati che, al contrario, un esperimento di fisica fatto in laboratorio potrebbe avere; infatti, ripetendolo 100 volte, quest’ultimo restituirà sempre lo stesso risultato mentre un esperimento che ingloba la variabile umana, potrebbe non restituire il risultato atteso.
L’imprevedibilità, l’incoerenza, l’illogica umana, all’interno di uno studio scientifico, entra caoticamente rimescolando tutte le certezze e finendo per condurre a risultati non previsti.
In finanza quindi, la variabile problematica (ma probabilmente anche la più interessante) è proprio quella umana, ed è proprio questa variabile che ci obbliga a ricorrere a strumenti statistici ed econometrici per la sua valutazione: “la finanza non è una scienza esatta”. Ragioniamoci.
IL FATTORE UMANO
A differenza delle altre scienze sociali, in realtà, la Finanza ha una peculiarità in più: il denaro. Il denaro entra in gioco come una forte determinante perché a nessuno piace perdere soldi, quindi, quella irrazionalità che si potrebbe raggiungere in altri ambiti sociali, qui non lascia spazio a sproloqui o chiacchiere da bar; la regola è chiara: se sbagli, perdi soldi.
Diciamo quindi che questo fattore tende ad attenuare le forti distorsioni che invece un’altra scienza sociale potrebbe presentare, perché guida tutti gli operatori in un’unica direzione, definendo un unico e grande obiettivo comune: il profitto.
Nonostante le tecniche utilizzate siano numerose ed in certi casi anche molto stravaganti, con diversi operatori che lavorano in archi temporali daily, monthly o con ottiche decennali, in tutti i casi resta fermo l’obiettivo: un rendimento positivo e se possibile più alto di quello degl’altri operatori.
La differenza tra speculatore ed investitore è veramente sottile e sempre più confusa (a tal riguardo suggeriamo di leggere “Il mito dello speculatore”) ma, un vantaggio (o sarebbe più opportuno dire: “un problema in meno”) è appunto l’obiettivo comune a tutti gli operatori.
Si potrebbe obiettare facendo entrare in gioco operatori come i governi, che non necessariamente hanno obiettivi di rendimento: un esempio classico è quello dell’acquisto di titoli di debito americano a rendimento zero da parte degli stati asiatici al fine di aumentare le proprie riserve valutarie, scongiurando in questo modo eventuali attacchi speculatori alla propria valuta. Questi acquisti di titoli avvengono anche se sul mercato ne esistono di più convenienti a livello di rendimento, quindi sono la dimostrazione che il profitto non è l’unica logica che pilota i mercati.
Un’altra contestazione potrebbe riguardare operatori come le banche centrali, i cui obiettivi non sono direttamente quelli di profitto ma che, comunque, risultati economici negativi ne intaccherebbero la credibilità, compromettendo di conseguenza il proprio operato; quindi, in sostanza, se pur per ragioni diverse, anche le banche centrali puntano a chiudere l’anno con bilanci in profitto e non in perdita.
Il discorso sarebbe molto articolato, ma cerchiamo di rimanere concentrati sugli investitori che puntano al profitto, che probabilmente sono il vero motore della finanza.
MARGINE D’ERRORE
Un esperimento fisico è ripetibile. Ad onor del vero dovremmo precisare che in realtà non è perfettamente ripetibile, ha anch’esso un margine d’errore che può essere determinato da tanti e svariati fattori; diciamo però, che questi errori potrebbero essere portati ad una dimensione tale da risultare trascurabili. Ma questo com’è possibile? La risposta sta nel fatto che se si conoscono tutte le variabili ed i loro comportamenti, una volta stimolate si potranno prevedere gli output sulla base di definiti input.
Ma quindi davvero in Finanza non si può prevedere l’output una volta definiti tutti gli input?
Il problema, in finanza, sta nelle asimmetrie informative. Possiamo conoscere con un certo livello di sicurezza gli obiettivi degli operatori (cioè quello di cercare di raggiungere più alti profitti ad un più basso rischio) ma risulta difficile prevederne il comportamento perché siamo ignari dei loro livelli di asimmetrie informative, cioè non conosciamo il loro livello di informazione sulle operazioni che stanno realizzando. È da qui che nascono distorsioni, considerazioni sbagliate e scelte irrazionali.
Quindi si potrebbe affermare che l’unica differenza con la fisica, è un più ampio margine d’errore?
Facciamo un esempio: se un operatore legge sul giornale che Tesla è il futuro dell’industria automobilistica, sarà portato ad investire su quel titolo; però, se in grado di leggere un bilancio, sarà portato a considerare questo investimento non così conveniente e quindi potrebbe valutarlo troppo rischioso. Supponiamo però che esista un’asimmetria informativa: Elon Musk ha appena creato un business plan incredibilmente promettente per aggredire il mercato Europeo che attiverà nei prossimi mesi e che porterà Tesla ad utili incredibili. La notizia è in asimmetria perché non ancora pubblica ma, una volta attivata, darà ragione all’eventuale investitore sprovveduto che ha puntato su Tesla basandosi solo su un titolo di giornale.
Dobbiamo tenere in considerazione che se domandiamo ad un fisico di calcolarci il punto esatto in cui precipiterà un meteorite, lui ci risponderà in modo puntuale, definendo le coordinate ed un certo raggio d’errore perché il punto cruciale è che nemmeno lui potrà prevedere tutti i movimenti, tutte le dinamiche che entrano in gioco.
Allo stesso modo, in Finanza è ancora più difficile riuscire a schematizzare tutte le dinamiche perché si lavora in un ambiente opaco, nebbioso, privo di informazioni in bella vista, e senza conoscere il livello di conoscenza degl’altri operatori.
LA SCUSANTE
Sempre più volte sentiamo utilizzare questa frase: “la finanza non è una scienza esatta”.
La realtà è che la finanza è una scienza sociale che deve tenere conto di una quantità di variabili ignote pressochè infinite. La finanza è una scienza estremamente complessa.
Questa formula usata sembra sempre più spesso creata ad hoc come disclaimer per le proprie affermazioni.
Sembra quasi dire: “sono convinto di questo ma se sbaglio non è colpa mia”.
Non sarebbe più interessante leggere formule del tipo “date queste informazioni, utilizzando queste tecniche, i risultati sono questi e noi li interpretiamo in questo modo” ?
Il punto è che di finanza siamo tutti ignoranti, nessuno escluso, e nessuno può parlare di certezze; questo perché nessuno conosce davvero tutte le variabili.