Tutti i giorni, in modo continuo e perpetuo, il problema delle scelte di investimento si presenta come una costante della nostra vita. Investire o tenere i contanti sotto al materasso. E se mi decidessi ad investire, è meglio puntare sull’azionario o sui titoli di stato? Qualè la scelta più sensata da fare? E come capire quale sia la più conveniente?
INFLAZIONE
L’inflazione corrode in modo silenzioso il potere d’acquisto del capitale di tutti i risparmiatori. Pensare di tenere i risparmi fermi in un conto corrente significa guardarli dissolversi piano piano negli anni. A causa dell’inflazione siamo obbligati a porci il problema di quale sia il miglior modo per cercare di mantenere inalterato (perlomeno) il potere d’acquisto del nostro capitale, data la capacità erosiva di questo subdolo nemico comune.
Ad onor del vero, un’ inflazione bassa ma positiva ha tutta una serie di vantaggi per lo sviluppo economico, importanti al punto da renderla il principale obiettivo delle banche centrali; quindi oltre al suo lato oscuro, diciamo che ha anche un lato benefico (forse più di uno) ma non sarà in questa sede che ne parleremo.
Al fine della nostra analisi, l’unica caratteristica che prenderemo in esame sarà quella di erosione del nostro capitale; per fare un esempio pratico, per ogni 100 euro che abbiamo sul conto corrente, un’ inflazione del 2% è capace di farci perdere 2 euro ogni anno in termini di potere d’acquisto.
Su un conto di 10.000 euro, ogni anno si perdono 200 euro che in 10 anni diventano 2.000 euro. Risulta quindi facilmente comprensibile l’entità del problema.
TASSI REALI E TASSI NOMINALI
C’è un’altra premessa da fare, che è la distinzione tra tassi reali e tassi nominali.
Siamo abituati a sentir parlare dei rendimenti sui titoli di stato (o sull’azionario) in termini di rendimenti nominali, e tendenzialmente ci si dimentica l’importanza dei tassi reali.
Per valori piccoli dei tassi nominali e di inflazione, possiamo approssimare il tasso reale attraverso l’equazione di Fischer e cioè come la differenza tra il tasso nominale e l’inflazione:
rr = rn – п
dove:
rr = Tasso reale
rn =Tasso nominale
п = inflazione
in parole povere, il tasso reale è quello che effettivamente interessa ad un investitore, perchè è rappresentativo del potere d’acquisto aggiuntivo del suo capitale a fine investimento.
Essendo tendenzialmente bassa, da qualche anno a questa parte, ci si è dimenticati dell’importanza dei tassi reali, ma per investimenti a medio-lungo termine, questo è un dato da tenere in considerazione.
AVVERSIONE AL RISCHIO
A causa dell’ avversione al rischio di ognuno di noi, non esisterà una scelta di investimento “migliore” in termini assoluti, ma ne esisterà una relativamente più adatta per ognuno. Per capire il range di scelta degli investimenti che possiamo scegliere, possiamo pensare che l’investitore più avverso al rischio in assoluto, cioè quello che non sarà disposto a sopportare nessun livello di rischio, sarà quello disposto unicamente all’acquisto di titoli di stato a rischio “zero” (con una particolare nota su questa ultima affermazione: non esiste rischio zero, ma diciamo che un titolo di stato Americano a 10 anni si può supporre un investimento particolarmente sicuro dato che, per non essere rimborsati, dovrebbero fallire gli Stati Uniti D’America). D’altra parte, invece, possiamo immaginare l’investitore più propenso al rischio possibile, come quello disposto ad investire il suo intero capitale nell’equity, sopportando quindi un rischio molto alto. Nella normalità dei casi, gli investimenti sono composti da combinazioni tra i due, ma per una miglior comprensione del problema analizzeremo i casi in modo separato.
IL PROBLEMA DELL’INVESTIMENTO
Il problema di fondo, quindi, è capire se investire in titoli di Stato o in azioni.
Nella nostra analisi considereremo un investimento di 10 anni, quindi con un ottica temporale di medio-lungo periodo.
Normalmente, come riferimento per un investimento a rischio zero, viene utilizzato un titolo governativo del mercato monetario (a breve termine); in questa sede, però, forzeremo la mano supponendo i titoli di Stato Statunitensi “Treasury “ a 10 anni a rischio zero (Risk Free).
La situazione di partenza è quindi la scelta tra un investimento certo, con rendimenti “sicuri” attraverso l’acquisto di Debito Americano, ed uno incerto, con rendimenti attesi più alti, ma con un alto livello di rischio, attraverso l’azionario; per quest’ultimo faremo riferimento al S&P500 che utilizzeremo come proxy del mercato azionario USA.
Esiste un’ulteriore scelta, che è quella di non fare nulla, e subire gli effetti dell’inflazione.
- NON FACCIO NULLA -> subisco una perdita sul potere d’acquisto dovuta all’inflazione
- INVESTIMENTO CERTO -> compro titoli di stato a rendimenti definiti ex-ante.
- INVESTIMENTO INCERTO -> compro titoli azionari a rendimenti che non conosco ma di cui ho un’aspettiva più alta data la media storica; questa differenza positiva è quella che servirà a ripagare il rischio che sto subendo nell’investire in equity piuttosto che risk free, quello che viene chiamato “Premio al rischio”.
ASPETTATIVE SULL’EQUITY
Abbiamo detto quindi che l’unico dato incerto del problema è il rendimento che posso aspettarmi da un investimento sul azionario. Per fare una valutazione comparativa, però, mi servirà un metodo per stimare quella che sarà l’aspettativa di rendimento di mercato.
In questa sede proponiamo un metodo di stima che speriamo possa aprire un dibattito sul suo utilizzo e sulle sue potenzialità, in modo da migliorarne il funzionamento, e che utilizzeremo per dare una visione passata e futura di quelle che possono essere le alternative di investimento di un risparmiatore.
Per i più esperti, il metodo utilizzato è una versione semplificata del ricampionamento attraverso bootstrap.
In sintesi, ci baseremo sull’analisi dei rendimenti passati di mercato: calcolando il rendimento mensile dei precedenti 10 anni circa, definiremo la distribuzione passata del S&P 500. Assumeremo poi che i rendimenti siano ugualmente distribuiti nel tempo e indipendenti l’uno dall’altro. Quest’ultima assunzione è quella più forte tra le due e che probabilmente rivedremo nella prossima analisi.
Ad ogni modo, su queste premesse, utilizzeremo quindi un meccanismo probabilistico di previsione basato sull’estrazione casuale di “n” valori dalla distribuzione precedentemente definita e ne calcoleremo la media aritmetica semplice delle “n” estrazioni per definire quale sarà il più probabile rendimento futuro.
Più semplicemente, questo metodo di previsione si fonda sul presupposto che i rendimenti con maggior frequenza che si sono verificati nel passato, saranno anche quelli che potremo aspettarci con maggiore probabilità in futuro.
Spiegato il metodo, vediamo i risultati: nel grafico 1 mostriamo la distribuzione dei rendimenti mensili dei precedenti 10 anni a Gennaio 2000 comparati ad una distribuzione normale di pari media e deviazione standard.
Come si può notare dal grafico, la distribuzione definita empiricamente dei log-rendimenti ha code spesse cioè, la probabilità che si verifichi un valore lontano dal valore medio è più alta di quella che si può assumere attraverso una distribuzione Gaussiana (in arancione). Questa differenza, unita ai picchi nella zona di destra, ci ha portato a non considerare la normale come una buona rappresentazione del modello probabilistico ed è di conseguenza il motivo che ci ha spinti a considerare il bootstrapping come scelta migliore.
Il bootstrapping ci consente di usare il modello probabilistico estratto empiricamente dal passato e di usare quello come meccanismo probabilistico per le previsioni future.
ASPETTATIVE D’INVESTIMENTO VS REALTA’
Ponendoci al primo di gennaio del 2000, e sfruttando le informazioni passate del S&P500 dei precedenti 10 anni circa, abbiamo proiettato nei successivi 10 anni i rendimenti futuri di mercato attraverso il metodo probabilistico precedentemente descritto.
Il Grafico 2 mostra i rendimenti cumulati del S&P500 total return reali fino al 2000 e la proiezione degli stessi dal 2000 fino al 2010. È stato posto il punto “zero rendimento” al 01/01/2000 in modo da dare un’idea di quella che poteva essere l’aspettativa dei rendimenti di mercato di un investitore volesse entrare sull’equity quel giorno.
Si noti che dato l’andamento dei precedenti 10 anni, poteva essere legittimo avere una posizione ottimistica della visione futura.
Specifichiamo che siamo consapevoli che in questa analisi non è stato preso in considerazione l’aspetto del ciclo economico e del ciclo di mercato che abbiamo intenzione di integrare prossimamente e di cui verranno mostrati i risultati in un successivo articolo.
Ma vediamo ora l’aspettativa contro la realtà dei fatti nei successivi 10 anni: il Grafico 3 mostra la precedente proiezione delle aspettative dal 2000 al 2010 dei rendimenti azionari contro quelli che si sono verificati realmente.
Il grafico mostra che le proiezioni a 10 anni basate sui rendimenti passati si sono rivelate decisamente differenti rispetto a quelle che effettivamente si sono realizzate sui mercati.
SCELTE D’INVESTIMENTO A CONFRONTO
Mettiamo ora a confronto le tre possibilità d’investimento con le rispettive aspettative dell’anno 2000, cioè equity, titoli di stato Americano ed effetto dell’inflazione sull’erosione del capitale. Il Grafico 4 mostra le tre possibilità in termini reali e cioè considerando i tassi di rendimento al netto dell’inflazione.
Considerando solo le aspettative (linee tratteggiate) possiamo vedere come l’Equity risultasse molto più promettente rispetto alle altre scelte. C’è da dire però che anche i titoli di stato, dato il loro intrinseco “rischio zero”, non erano sicuramente un cattivo investimento.
Il problema nasce con la realtà: da un lato abbiamo i titoli di debito Statunitense che hanno rispettato pienamente le aspettative in quanto essere, per natura, a rendimenti “predefiniti”; dall’altro, invece, abbiamo il mercato azionario che ha lasciato gli investitori a bocca asciutta; non solo: se consideriamo che il problema iniziale era quello di ripararsi dai danni causati dall’inflazione, il risultato è stato pessimo, dato che investendo nell’ equity abbiamo fatto più danni che non facendo nulla.
Ma vediamo la stessa analisi traslata nei successivi 10 anni, con ottica di investimento dal 2010, cioè fino a Gennaio 2020:
In questo caso possiamo vedere come le aspettative sull’equity (dati i precedenti 10 anni) si fossero notevolmente abbassate, al pari dei rendimenti sui titoli azionari, che a loro volta si sono compressi notevolmente rispetto ai precedenti.
A questo punto non avrebbe avuto senso rischiare sull’azionario per rendimenti alla pari di quelli dei titoli di stato, e quindi la scelta sarebbe probabilmente ricaduta sui Treasury. Scelta che si sarebbe dimostrata vincente per coprire l’erosione inflazionistica, ma sicuramente non vincente se si guarda il rendimento che ha avuto in seguito l’equity.
Quindi ancora una volta l’Equity ha eluso le aspettative girando esattamente nel verso opposto.
LA SCELTA D’INVESTIMENTO DEL 2020
Veniamo ora alla proiezione di oggi, con visione al primo di Gennaio 2020.
Il Grafico 5 mostra la situazione ad inizio di quest’anno.
In questo caso la situazione è ancora più complicata: i tassi di rendimento reale sui titoli di stato sono pressoché a zero (servirebbero giusto a proteggersi dall’inflazione), ma rischiando di vincolare il proprio capitale a tassi zero. Dati i precedenti rendimenti sull’equity, il modello probabilistico proietta rendimenti molto alti sul mercato azionario, ma abbiamo visto che l’errore di previsione potrebbe portare a brutte sorprese.
L’unica cosa molto probabile è che, anche per questi prossimi 10 anni, l’inflazione tenderà ad erodere il nostro capitale in termini di potere d’acquisto e questo ci costringerà a fare una scelta d’investimento.
IN COSA INVESTIRE A LUNGO TERMINE
Abbiamo potuto constatare che sia il potere corrosivo dell’inflazione che i rendimenti reali sui titoli di stato sono valori apparentemente prevedibili. Questo significa che, con molta probabilità, lasciando il capitale depositato sul conto corrente “perderemo denaro”; inoltre, sappiamo anche con certezza che tipi di rendimenti possiamo aspettarci dai titoli di stato a rischio zero.
Questo sposta l’intera attenzione sull’azionario che a quanto pare non risulta così semplice da prevedere.
Prima di tutto dobbiamo tenere conto che il meccanismo probabilistico usato in questa analisi è di tipo “statico”, nel senso che non viene aggiornato all’arrivo dei nuovi dati; un’implementazione di un rolling window renderebbe molto probabilmente il sistema più preciso.
Ad ogni modo, la forte imprevedibilità dell’azionario lo rende un investimento particolarmente rischioso e un semplice modello probabilistico non è sufficiente a prevederne l’andamento. Non a caso, il nostro studio si è posto su due anni importanti come il 2000 e il 2010, vicini (se non immersi) all’interno di due forti crolli di mercato. Abbiamo voluto dimostrare che la previsione dell’andamento futuro sulla base delle informazioni passate è un gioco altamente rischioso che ci obbliga a considerare anche altri fattori economici (come ad esempio il ciclo di mercato o la presenza di bolle).
Quindi qualè la migliore tra le scelte di investimento possibili? La risposta è: dipende dalla vostra avversione al rischio, ma sicuramente “non investire” è la scelta peggiore che possiate fare.