La guerra in Ucraina ha costretto i governi a schierarsi rimescolando l’ordinamento geopolitico mondiale: se fino a ieri potevamo pensare alla Russia come un buon partner Europeo, ora la direzione che si sta scegliendo è quella opposta, tentando di escludere la Russia dalle interazioni con l’occidente.
In questa situazione la Cina ne approfitta, rimanendo in disparte pubblicamente ma avvicinandosi all’economia Russa. Anche l’India coglie l’occasione, comprando petrolio Russo e non aderendo all’isolamento del regime di Putin.
Ed ecco due schieramenti, non tanto militari quanto economici, che vedono il vecchio mondo capitalistico da una parte ed un conglomerato economico asiatico composto da Cina Russia ed India come principali attori.
SITUAZIONE ECONOMICA IN USA
Partiamo ad analizzare la situazione dei principali attori economici mondiali: negli Stati Uniti è prevista una crescita del PIL per il 2022 del 2.8%, rivista al ribasso rispetto al precedente 4% a causa degli sviluppi della guerra Ucraina ma pur sempre sopra la media degli ultimi 10 anni.
Molte multinazionali americane come McDonald’s, Coca Cola, Spotify, Netflix (solo per citarne alcune) hanno lasciato il territorio russo sospendendo le loro attività. Il mondo sta perdendo un mercato da 144 milioni di abitanti che si ripercuoterà direttamente sulle prossime trimestrali aziendali.
Rimangono invece pressoché immutate le previsioni di lungo periodo (2022-2023) normalizzandosi intorno a quota 2% annuo (Grafico 01).
Osservando i rilevamenti mensili dell’inflazione statunitense possiamo notare che, nonostante un apparente rallentamento nell’estate 2021, i prezzi rimangono decisamente in crescita (Grafico 02).
La linea gialla rappresenta la parte strutturale dell’inflazione, quella depurata dalle componenti più volatili quali beni alimentari ed energia. Questa è quella più indicativa sull’effettivo problema inflativo: dal grafico possiamo scorgere un deciso rialzo di questa componente post pandemia, apparentemente in fase di rientro nell’estate 2021 ma che con la guerra in Ucraina ha ripreso a salire.
Guardando l’inflazione dal lato offerta, tramite il PCE della FED, ritroviamo lo stesso picco inflativo (Grafico 03); questo ha fatto attivare la FED prima con il tapering e poi con un programma di rialzo dei tassi che è cominciato il 16 Marzo 2022 con un primo step di +0.25%.
Il programma per il 2022 prevede 6 rialzi della stessa entità, sostanzialmente uno ogni seduta che, secondo le previsioni FED, dovrebbe far rientrare l’inflazione core PCE vicino al target del 2% entro 3 anni.
La stretta sui tassi, molto più severa rispetto a prima, è giustificata da diversi fattori: il primo è la revisione al rialzo dell’inflazione per il 2022 quasi raddoppiata, con la PCE core proiettata verso il 4,1% (Grafico 03); l’altra è data dall’occupazione, il secondo obiettivo della banca centrale statunitense, proiettato ormai verso il suo tasso naturale (Grafico 04).
L’attuale livello di occupazione degli americani non giustifica più l’attuale politica monetaria ultra espansiva e l’attenzione viene spostata dall’occupazione all’inflazione. Le proiezioni del tasso di disoccupazione rimangono pressoché quelle di Dicembre stabilizzandosi già da fine 2022 intorno al 3.5%.
L’intervento FED sui tassi trova conferma anche nei salari, in deciso aumento negli Stati Uniti da ormai due anni. L’aumento dei salari porta l’inflazione ad essere strutturale; nonostante l’ultimo dato riguardante l’ultimo trimestre 2021 (e rilasciato il 28 Gennaio 2022) fosse più basso del precedente, rimane comunque sopra la media degli ultimi 10 anni (Grafico 05).
Sarà molto interessante il prossimo dato, riguardate il primo trimestre 2022 che verrà rilasciato a fine Aprile.
Nel frattempo però possiamo osservare una produttività statunitense (escluso il settore agricolo) in aumento del 6.6% nell’ultimo trimestre 2021 e un aumento nelle ore lavorate del 2.4% (ultima release del Bureau of Labor Statistics del 3 Marzo 2022).
Il PMI index per gli Stati Uniti rimane sopra alla soglia del 50%, rimanendo in area di espansione se pur più basso rispetto al picco di Marzo 2021. Il trend leggermente discendente dell’ultimo periodo non spaventa dato il rientro dall’ “effetto elastico” scatenato dalla pandemia che, inizialmente ha bloccato la produzione, per poi essere riattivata più che a pieno regime fino ad arrivare alla situazione attuale in fase di normalizzazione (Grafico 06).
Produttività e acquisti vanno quindi a confermare le ultime dichiarazioni di Powell riguardo ad un’economia statunitense in crescita.
Che conseguenze avrà sui mercati il cambio di rotta sulla politica monetaria della Federal Reserve?
Un tasso di banca centrale più alto si ripercuote direttamente sul tasso di sconto dei flussi di cassa futuri che servono agli analisti per calcolarsi i “Fair Value” aziendali; essendo a denominatore, più alto sarà il tasso e più basso sarà il valore dell’azienda riflettendosi direttamente sul prezzo azionario.
Dovremmo quindi aspettarci una contrazione delle quotazioni. Ma questo può essere vero solo se non avessimo le forward guidance, cioè tutte quelle indicazioni di proiezioni future che la FED ci fornisce sull’andamento futuro del suo operato.
I mercati sono forward quindi scontano preventivamente le azioni future di banca centrale; questo significa che i mercati tendono a scontare tutte le informazioni che hanno a disposizione.
Osservando gli ultimi 20 anni infatti non possiamo dire che ad un rialzo dei tassi sia corrisposto un relativo ribasso dei listini azionari, anzi, sembrerebbe l’esatto contrario (Grafico 07).
Una conferma di questa view la possiamo riscontrare nella forte contrazione del mercato azionario americano di questi primi mesi dell’anno con un Nasdaq che perde un 22,5% ed un S&P500 che segna un -15% a fine Febbraio.
Ma la storia non sempre si ripete, soprattutto se consideriamo quest’ultimo cigno nero, la guerra in ucraina che, come abbiamo accennato prima, è molto probabile che porti ad una contrazione degli utili nelle prossime trimestrali USA.
Ci sono società, però, che stanno traendo vantaggio da questa guerra: il settore energetico americano, ad esempio, spinto dal rialzo dei prezzi e dall’aumento della domanda Europea avrà probabilmente trimestrali contro tendenza.
Biden ha appena firmato un piano per rifornire l’Ucraina di un arsenale, tra droni, armi ed attrezzatura militare; questo sicuramente gioverà l’industria militare americana.
Quindi avremo due effetti che faranno leva sul PIL USA: da una parte l’effetto di contrazione dovuto alla “de-globalizzazione” delle multinazionali colpendo industrie come quella dell’ Entertainment, Communication Services, Consumer Cyclical; in contrapposizione avremo un’espansione del business della guerra che gioverà il settore industriale e quello dell’energia.
Riguardo al Cambio Euro-Dollaro, un aumento dei tassi USA con i tassi BCE bloccati crea uno squilibrio nella parità scoperta dei tassi d’interesse che, teoricamente, dovrebbe portarci ad aspettative di valutazione del dollaro nel breve periodo e quindi una riduzione del cambio.
Un’analisi supplementare si potrebbe fare valutando anche la Purchasing Power Parity (PPP) che tiene in considerazione anche l’inflazione, variabile decisamente significativa in questo periodo: dato che le aspettative di inflazione core sono più alte negli USA che in Europa, allora esiste un differenziale inflazionistico negativo tra i due paesi che potrebbe produrre una valutazione del cambio nel medio-lungo periodo, quindi una forza che spinge nella direzione opposta alla precedente.
Ma questo può essere vero solo se la BCE deciderà di non alzare i tassi.
SITUAZIONE ECONOMICA IN EUROPA
Passiamo ora all’Europa: a Marzo, la BCE ha rivisto al ribasso la proiezione sul Pil 2022 per l’Euro Area, una riduzione nell’ordine dello 0.5% (Grafico 08).
Rimangono pressoché identiche le proiezioni degl’anni successivi.
Anche in questo caso la principale determinante è la guerra in Ucraina che coinvolge direttamente l’Europa sia politicamente, sia sul lato economico.
Per quanto riguarda l’inflazione, la BCE si aspetta un aumento della HCPI core proiettandola a 2.6% per fine anno. Sono valori molto più bassi rispetto a quelli visti per gli USA ma comunque preoccupanti; inoltre c’è da considerare che l’inflazione dell’Area Euro è una media di tutti gli stati membri e se la HCPI per il 2022 è proiettata verso 5.1% significa che alcuni stati vedranno l’inflazione interna a livelli ancora più alti (Grafico 09).
In Marzo sono state riviste anche le proiezioni del tasso di disoccupazione dell’Euro Area, leggermente al rialzo ma comunque in linea con il trend discendente degli ultimi 10 anni (Grafico 10).
Da notare che rispetto agli Stati Uniti, l’Europa soffre di un tasso di disoccupazione del 5% più alto.
Infine diamo uno sguardo al PMI manifatturiero dell’Euro Area che continua a rimanere stabile intorno a quota 58: questo dato non mostra nessun particolare cambiamento continuando la marcia in regime di espansione (Grafico 11).
È possibile, se non probabile, che il prossimo dato vedrà una contrazione portando l’indice verso la soglia critica.
La Produttività dei lavoratori, dopo la correzione per l’effetto elastico causato dalla pandemia, dovrebbe normalizzare intorno a livelli di crescita del 1% annuo; anche su questo parametro la BCE ha rivisto le proiezioni per il 2022 al ribasso abbassandola da 2.9% a 2.3% (Grafico 12).
Inflazione al rialzo, produttività al ribasso, disoccupazione non del tutto sotto controllo ed economia che tende a stagnare sono una combinazione di elementi molto complicata per la Lagarde che dovrà decidere se alzare o meno i tassi nella prossima seduta.
GUERRA IN UCRAINA ED EFFETTI SUI MERCATI
La guerra in Ucraina vede coinvolte due grandi esportatrici di commodities.
L’export russo è determinato per più del 50% dalla vendita di energia, con la fetta più grande pari al 30% occupata dal petrolio (Grafico 13).
Oltre all’energia, è una grande esportatrice di cereali ed altri metalli utilizzati nell’industria e nelle costruzioni tra cui Alluminio e Nickel; per quanto riguarda il primo dei due, è seconda solo alla Cina in termini di quantità prodotta (Grafico 14).
Riguardo il Nickel, invece, al 2018 risultava essere la terza produttrice mondiale se pur con un trend discendente (Grafico 15).
Anche il Rame potrebbe essere motivo di preoccupazione nonostante che, nella classifica dei primi dieci produttori mondiali la Russia si posizioni solo all’ottavo posto (Grafico 16).
Un altro grande problema della nuova guerra europea, sono i cereali, il grano in particolare che vede la terza e l’ottava produttrice al mondo coinvolte nel conflitto.
Da una parte c’è il rischio di perdere buona parte del prossimo raccolto ucraino che rappresenta più del 3% della produzione mondiale e dall’altra rischiamo di non poter acquistare il prossimo raccolto Russo a causa delle sanzioni; queste ultime mettono un grosso punto interrogativo su un 11% della produzione mondiale (Grafico 17).
Il principale destinatario delle esportazioni russe è il vecchio continente, con uno share di quasi il 40%; segue la China con un 15% (Grafico 18).
Il legame economico tra Russia ed Europa è quindi evidente e cercare di scinderlo sarà un lavoro alquanto complicato; i settori più colpiti al momento sono quello industriale e quello bancario ma paradossalmente il settore energetico sta marciando a pieno regime e il gas russo continua ad alimentare le nostre fabbriche e a scaldare le nostra case.
Biden ha bloccato l’import di petrolio dalla Russia ma si trova ora a dover valutare lo sblocco di un altro embargo, quello Venezuelano che però non sembra essere cosa fattibile nel breve termine.
Putin nel frattempo non sembra preoccupato avendo apparentemente già stipulato un contratto per la consegna in sconto di petrolio all’India.
Si stanno quindi rimescolando le alleanze in termini non ufficiali, generando di fatto un nuovo equilibrio geopolitico mondiale che vede sempre più distintamente uno schieramento pro-america rispetto ad uno “alternativo”.
CONCLUSIONI
In linea generale la crisi ucraina sta portando forte volatilità sui mercati; l’incertezza dell’esito e la mancanza di volontà tra le parti di trovare un compromesso crea una situazione poco decifrabile.
Le sanzioni imposte dall’Europa verso la Russia sono un’arma a doppio taglio che incentivano fasi speculative sulle materie prime sfociando in enormi altalene di prezzo.
La de-globalizzazione Russa colpisce tutto il mondo ma alla fine, con ogni probabilità, l’Europa sarà quella a pagare il prezzo maggiore.
Gli Stati Uniti, dal punto di vista economico, potrebbero uscirne vincitori, avvicinandosi ancora di più al partner europeo. Ma anche questo è un gioco che potrebbe portare ad effetti inaspettati, infatti sta agevolando i Cinesi nello sviluppo della via della seta, facendo avvicinare nuovi alleati come l’Arabia Saudita che proprio in questi giorni sta valutando il pagamento del petrolio in yuan.
Ad ogni modo, l’inflazione al rialzo guidata in primis dell’energia preoccupa costringendo le banche centrali a correre ai ripari: la Fed sempre più stringente punta a contenere l’inflazione ma in Europa la condizione non è delle migliori e seguire quella strada potrebbe intaccare la crescita.
Nel frattempo i capitali alimentano i beni rifugio come l’Oro e la curva dei tassi sui Bund cresce cominciando a vedere territorio positivo dalla scadenza dei 5 anni; ma l’effetto dominante nella modellazione della curva sembrerebbe essere quello inflativo, gran brutta notizia per la BCE che si troverà presto costretta ad aumentare i tassi per cercare di contenere l’inflazione in un momento di previsioni di crescita non così sostenute come negli Stati Uniti.
Fasi di risk-on e risk-off si alternano in modo convulsivo, dando spazio prima ai tassi americani ed europei poi al mercato che ad oggi sembra in rimbalzo positivo.
Ma la situazione geopolitica non è delle migliori e non è detto che i mercati abbiamo raggiunto il bottom.
Situazione totalmente diversa per la Cina che invece sembra aver raggiunto il bottom con un crollo di breve periodo che ha portato a sanare un mercato troppo monopolizzato, facendo scorgere ottime possibilità di crescita nel lungo termine.
Se aggiungiamo questo alla stabile politica autocratica cinese, non possiamo fare altro che avere buone prospettive di crescita future, nonostante il tasso di crescita cinese sia in direzione di convergenza con gli stati sviluppati, e quindi potremo parlare di crescite del PIL sempre minori.