È ben noto a tutti che il Nasdaq 100 non ha volatilità costante e questo è un problema per i modelli basati su distribuzioni normali dei rendimenti.
In questa ricerca mostriamo gli effetti del fenomeno, analizzando possibili soluzioni pratiche per la gestione del problema.
IL PROBLEMA DELLA ETEROSCHEDASTICITA’
Nel nostro precedente articolo “Trading sul Nasdaq 100: tutto quello che c’è da sapere” abbiamo analizzato la distribuzione dei rendimenti storici mostrando il comportamento dell’indice nella sua totalità.
Un problema operativo, però, è rappresentato dalla gestione della sua volatilità e di come le distribuzioni dei rendimenti si modellino in base alla sua evoluzione.
Questo fenomeno è chiamato eteroschedasticità ed indica la presenza di diverse varianze all’interno della popolazione dei rendimenti impedendo l’utilizzo di modelli basati su parametrizzazioni normali.
In parole più semplici, ci sono momenti di mercato in cui è più probabile che si verifichi una performance giornaliera di -2% rispetto ad altri.
Si pensi ad esempio alle fasi bear di mercato in cui affrontiamo giornate decisamente molto volatili piuttosto che fasi geopolitiche più stabili che portano all’ottenimento di rendimenti più modesti, con ascese lente e regolari.
Il Grafico 01 mostra l’evoluzione della media a 20 periodi della volatilità giornaliera del Nasdaq 100 (calcolata su una finestra dinamica di 60 sedute).
Il grafico individua una volatilità media giornaliera storica degli ultimi 30 anni di 1.51%, con picchi fino a circa 4.5% in fasi di shock (come ad esempio la bolla delle dot-com) o, al contrario, con livelli minimi fino a quasi 0.5%.
CLUSTERING DI VOLATILITA’
Per ogni intervallo di volatilità mostrato nel grafico 1, avremo quindi differenti distribuzioni dei rendimenti.
Volendo semplificare al massimo, potremmo suddividere le aree di volatilità in tre gruppi:
- > 2%: zone ad alta volatilità causate da shock di mercato, tendenzialmente tipiche dei bear market;
- < 2% & > 1%: zone a volatilità “normale”, nell’intorno della media storica di 1.51%;
- < 1%: zone a bassissima volatilità, rappresentanti fasi di mercato particolarmente rilassate;
A questo punto assumiamo che la volatilità in queste tre aree sia costante, una forzatura che ci serve per calcolare gli intervalli di confidenza intorno alla media dei rendimenti attraverso una gaussiana.
Il Grafico 02 ci mostra come si comportano i rendimenti nelle tre aree divise attraverso il processo di raggruppamento della volatilità.
Il pallino giallo nel grafico ci mostra la media mentre quello nero la mediana; la linea verde e quella rossa delimitano i limiti dell’intervallo di confidenza al 90% secondo una t-Student; il grafico ci suggerisce che, durante gli shock di mercato, i rendimenti sono molto più volatili e che la sua distribuzione tende ad essere più vicina ad una normale nelle fasi meno turbolente (sotto al 1% medio di volatilità).
Come abbiamo visto, però, la realtà è che le distribuzioni sono differenti a causa della non costanza della varianza (se pur ridotta dal processo di raggruppamento); questo fa si che si presentino valori molto distanti dalla media creando quell’effetto che viene comunemente indicato come “Fat Tail” (code spesse).
Le code spesse generano accumuli probabilistici distanti dal punto medio ampliando quello che sarebbe il reale intervallo di confidenza; il Grafico 03 mostra un intervallo al 90% intorno alla media costruito con un approccio empirico.
Gli intervalli reali sono decisamente più ampi e mettono in evidenza la necessità di utilizzare forme parametriche non normali.
Le differenze tra le tre distribuzioni le possiamo cogliere anche dal Grafico 04 che mette a confronto la performance (rendimento daily) con la sua frequenza (intesa come probabilità).
Quella che nel grafico viene chiamata “left distribution” è la distribuzione dei rendimenti clusterizzati per volatilità media inferiore al 1%. La curva verde invece rappresenta la clusterizzazione dei rendimenti sopra al 2%.
AREA A BASSA VOLATILITA’
Concentrandoci sulla parte a bassa volatilità, quindi la parte sinistra della distribuzione dei rendimenti clusterizzati con deviazione standard media inferiore al 1% (quella che più si avvicina ad avere una forma normale), possiamo verificare cosa succede negli intorni dei suoi valori: il Grafico 05 mostra le statistiche dei rendimenti nei +/- 10 giorni intorno alle sedute a bassa volatilità media (in termini cumulati).
Come si può notare la tendenza nell’intorno di queste giornate è quella di avere rendimenti cumulati positivi, sia prima che dopo.
Al contrario, negli intorni di quelle giornate che presentano valori fuori norma (considerando ad esempio rendimenti inferiori al -1%) notiamo una dinamica differente (Grafico 06).
Sullo zero possiamo trovare le statistiche delle giornate analizzate, quelle con rendimenti inferiori a -1% e selezionate attraverso clusterizzazione della volatilità con vincolo a <1% sulla deviazione standard.
Le giornate precedenti a queste presentano un leggero trend ascendente se pur in media negativo; quelle successive, invece, pur mantenendo la direzionalità del trend, ottengono dei risultati cumulati in media positivi.
Questo dato, che considera il 13% della distribuzione clusterizzata, è molto interessante perché sembrerebbe mostrare una sorta di effetto elastico prodotto dalle giornate con risultato particolarmente negativo in situazioni di volatilità ridotta.
STRATEGIA DI TRADING SULLA BASSA VOLATILITA’
A solo titolo di studio, possiamo provare ad utilizzare le informazioni ottenute in questa semplice analisi per testare una strategia d’investimento basata proprio sul segnale appena visto, cioè investendo nel momento in cui notiamo valori anomali nei rendimenti di mercato in fasi di volatilità ridotta.
Una strategia del genere potrebbe essere pensata entrando sul mercato il giorno dopo al segnale, investendo in posizioni long un 5% del proprio capitale (ad esempio).
Ipotizzando un capitale iniziale di 5.000 dollari e una leva 5 (per semplicità non sono state considerate le fee) otteniamo i risultati rappresentati nel Grafico 07.
Le 10 linee nel grafico differenziano la performance per giorni investiti dopo il segnale, da 1 a 10.
Ovviamente la curva diventa piatta nei momenti in cui il mercato esce dal clustering di volatilità considerato, condizione che obbliga la strategia a non investire.
Verso la fine subisce un forte drawdown che probabilmente potrebbe essere aggiustato inserendo uno stop loss, da ottimizzare opportunamente con un backtest.
Ma ci limiteremo a commentare questi primi risultati con l’unico fine di mostrare come le informazioni ottenute dall’analisi della distribuzione dei rendimenti possano venirci in aiuto nel ragionare sulla costruzione di strategie d’investimento.
STRATEGIA DI TRADING DINAMICA
Dato il problema della parametrizzazione della distribuzione dei rendimenti, un’altra soluzione potrebbe essere quella di utilizzare la distribuzione empirica e, data la sua evoluzione, considerarla in modo dinamico.
Se consideriamo ora la coda sinistra della distribuzione dinamica (circa un 5% di probabilità) e ne analizziamo le statistiche delle sue giornate e dei suoi intorni otteniamo quello che viene illustrato nel Grafico 08.
Dato che l’intorno destro delle sedute molto negative è tendenzialmente positivo, possiamo (ad esempio) ipotizzare una strategia del tipo:
- considerare la distribuzione dei rendimenti in una finestra mobile delle ultime 200 sedute (daily);
- dividere la distribuzione in 20 bin di probabilità;
- considerare la coda di sinistra (ad esempio gli ultimi 4 bin) come segnale di acquisto;
- entrare a mercato long il giorno dopo e per le successive 6 sedute;
Ovviamente la strategia è molto grezza ed andrebbe ottimizzata con tecniche di money management e l’aggiunta di stop loss, ma diciamo che per avere una idea dei possibili risultati, supponiamo di partire con 200 dollari ed investirne il 100% ad ogni segnale.
Esempi di segnali di questo genere possiamo apprezzarli nel Grafico 09 che illustra le entrate di questa semplice strategia.
Mentre i risultati, intesi come equity line delle posizioni chiuse, li vediamo nel Grafico 10.
CONCLUSIONI
Abbiamo analizzato la volatilità del Nasdaq 100 proponendo diverse tecniche per la sua gestione.
Questi metodi ci hanno permesso di ottenere spunti per la realizzazione di possibili strategie d’investimento (ricordiamo che queste strategie sono a solo fine di studio e non possono essere utilizzate in nessun modo ai fini d’investimento).
L’analisi mostra un accenno della scomposizione che può essere fatta sulle zone di volatilità e mostra un semplice esempio di come queste informazioni possono essere utilizzate; ovviamente il lavoro che serve per arrivare ad una vera strategia operativa è molto più articolato e dovrebbe comprendere tecniche di money management, stop loss e simulazioni storiche robuste che possano conferire almeno un’idea dell’effettivo funzionamento.